titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO IV - INFORMAZIONE E CONSENSO


Art. 30 Informazione al cittadino

Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta.
Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione.
Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata.

Commento:
L’art. 30 apre una serie di articoli dedicati agli attualissimi problemi dell’informazione e del consenso.
Come è noto, si tratta di argomenti di strettissima attualità su cui è tuttora in corso un appassionato dibattito non soltanto fra i cultori della deontologia, ma anche a livello filosofico e politico.
Del resto sono note le polemiche, parzialmente ancora in corso, derivanti dagli orientamenti giurisprudenziali sempre più consolidati che hanno legato le responsabilità del medico alla necessità dell’acquisizione del consenso del cittadino per quanto riguarda l’attività terapeutica.
L’art. 30 obbliga il medico alla informazione più ampia ed idonea per quanto riguarda prognosi, prospettive, eventuali alternative diagnostiche e terapeutiche e conseguenze delle scelte operate.
L’articolo, inoltre, riconferma il compito di assicurare l’informazione facendo riferimento alle capacità di comprensione del cittadino. E’ ovvio che diversi saranno i criteri che il medico dovrà seguire per adeguare l’informazione allo status del soggetto che la stessa dovrà ricevere. L’informazione, infatti, dovrà assumere connotazioni diverse, potrà essere fornita, se necessario, con gradualità a seconda delle condizioni oltre che fisiche e psicologiche anche socio-culturali del malato.
Viene anche confermata la necessità di una particolare prudenza e l’uso di terminologie non traumatizzanti allorchè sia necessario informare il cittadino su prognosi gravi o infauste o, comunque, tali da procurare preoccupazioni e sofferenze alla persona.
Particolarmente importante è la opportunità, in ogni caso, di non escludere la speranza per non lasciare solo con la propria disperazione il cittadino malato.
L'informazione è il presupposto indefettibile per la espressione del consenso da parte del paziente.
Perchè l'informazione in campo clinico risulti realmente efficace al fine suddetto è necessario che essa venga fornita secondo modalità adeguate alla formazione culturale, alla capacità di comprensione e allo stato psichico del paziente.
Nel presente codice è stato operata una scelta di fondo a favore dell'informazione al paziente per quanto attiene alla diagnosi, alla prognosi alle prospettive e alle conseguenze delle proposte terapeutiche, con una significativa modifica, rispetto al codice previgente, a favore di un'informazione veritiera, pur fornita con tutte le necessarie accortezze, anche d'ordine terminologico e psicologico, riguardo a prognosi gravi o infauste.
Tale scelta è il risultato di un dibattito approfondito che si svolge tuttora sulla opportunità di fornire al paziente, sempre e comunque, informazioni veritiere sul suo stato, recependo le indicazioni formulate in materia dal C.N.B. (documento Informazione e consenso all'atto medico - 20 giugno 1992) ed aderendo all'orientamento prevalente in ambito sociale.
I termini della questione e dei diversi punti di vista sono numerosi e tutti rilevanti.
L'orientamento nell'ambito del quale vanno inquadrate le norme del presente articolo riconosce, come fondamentale, il diritto alla verità che implica una concezione dell'uomo come responsabile delle proprie azioni e che si configura come condizione essenziale per l'esercizio della libertà.
Tale verità, in campo medico, non può tradursi come semplice e fredda trasmissione di dati clinici. Come è dato evincere dalla stessa formulazione dell'articolo in esame, assumono particolare rilevanza le modalità di comunicazione dell'informazione.
L'art. 30, è in linea, come detto, con le indicazioni del C.N.B. secondo cui l'informazione deve essere:
a) adatta al singolo paziente, in relazione alla sua cultura e alla sua capacità di comprensione da un lato e al suo stato psichico dall'altro;
b) corretta e completa circa la diagnosi, le terapie, il rischio, la prognosi".
Nella sua articolazione detta norma, sinteticamente ed efficacemente, offre al medico le chiavi per l'individuazione della linea di comportamento più idonea al caso specifico.
Il problema più rilevante riguarda la comunicazione di prognosi gravi o infauste nei confronti delle quali, al di là dei livelli culturali che contraddistinguono i singoli malati, si registrano spesso atteggiamenti di rifiuto, da parte degli interessati, a conoscere la verità.
La questione, quindi, si sposta su come deve e può avvenire tale comunicazione, anche nei casi più gravi. Ed a questo riguardo dalle norme dell'articolo in esame è possibile trarre una serie di criteri cui il medico può fare riferimento per affrontare il problema, specie nei casi più difficili, di comunicare la verità al paziente. In particolare, secondo tali indicazioni, il medico deve compiere uno sforzo intellettivo per conoscere e valutare nel modo più preciso la verità da comunicare ed i possibili livelli secondo cui ciò può avvenire; deve attentamente valutare le condizioni fisiche e psicologiche del paziente e le possibili conseguenze sul soggetto. Tutto ciò presuppone l'instaurazione di un forte e stabile rapporto medico-paziente fondato sulla fiducia reciproca.
In tale contesto complessivo anche il problema più grave, e cioè quello attinente al paziente che non vuole conoscere e sfugge la verità può assumere una diversa connotazione per cui il medico può attuare nei confronti del malato una rivelazione progressiva del suo stato "con un approccio graduale che tenga conto volta per volta di ciò che il paziente desideri effettivamente sapere, ovverosia quanta parte di verità egli sia in grado di sopportare, mantenendo un atteggiamento il più possibile franco e corretto" (C.N.B.).
Si tratta, per il medico, di instaurare una comunicazione della verità nell'ambito della quale vengano interpretate e comprese le ansie del malato con atteggiamento di solidarietà, al fine di far maturare nello stesso la consapevolezza e la conseguente accettazione del suo stato.
Come evidenziato dal C.N.B. "attraverso la somministrazione delle informazioni si profila il ritorno della funzione del medico come elemento decisivo per la condotta del malato; "infatti "nella amministrazione delle informazioni il medico ha ampi spazi di intervento" in particolare nei casi di situazioni inguaribili egli "dovrebbe costruire le alternative possibili e dare informazioni in modo che il paziente possa scegliere quella che più gli si adatta".
Tali accorgimenti nella trasmissione delle informazioni evidenziano come i comportamenti indicati dal codice siano cosa diversa dalla mera e neutra sottoposizione al paziente di tutta l'informazione disponibile, senza alcuna selezione o adattamento al caso specifico, come in alcuni Paesi (v. USA) può accadere, ove risultino prevalenti preoccupazioni di natura contrattualistica legate alla eventuale responsabilità, che può derivare in sistemi assicurativi privati, da una non completa informazione.
All'articolo in esame sottostanno diverse preoccupazioni tra cui quella, non secondaria, di rendere possibile attraverso l'informazione l'adesione del malato ad interventi terapeutici particolarmente pesanti in termini di sofferenza fisica e psicologica.