titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO IV - INFORMAZIONE E CONSENSO


Art. 32Acquisizione del consenso

Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente.
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 30.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l'incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso.
In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona, ove non ricorrano le condizioni di cui al successivo articolo 34.

Commento:
Il titolo dell’art. 32 è modificato rispetto a quello della precedente stesura del codice che si riferiva al consenso informato. Il titolo dell’attuale art. 32, "Acquisizione del consenso", intende porre l’attenzione sulla necessità di un’acquisizione effettiva da parte del medico del consenso del paziente.
Non si tratta, ovviamente, di una duplicazione del meccanismo di acquisizione e di informazione previsto dal precedente art. 30, ma di ulteriori norme di garanzia nel rispetto della libertà del cittadino per quanto riguarda la tutela della propria salute.
In sostanza - laddove il cittadino e il medico sono di fronte a prestazioni diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità che possono portare conseguenze importanti sulla integrità fisica del paziente - è necessaria l’acquisizione in forma scritta del consenso del soggetto passivo. L’intenzione del codice non è tanto quella di prevedere la sottoscrizione di formulari e di moduli predisposti, quasi ad integrare un ulteriore passaggio burocratico nella vita del medico, bensì quella di garantire l’effettività e la completezza dell’informazione che permetta al cittadino l’espressione di un consenso informato nel senso più pieno del termine.
E’ da sottolineare in sede di commento un’errata corrige al testo del codice: il 4° capoverso dell’art. 32 "…ove non ricorrano le condizioni di cui al successivo art. 34" è sostituito con "… di cui al successivo art. 78" . E’ ovvio che il legislatore deontologico intende fare riferimento alle normative particolari sui trattamenti sanitari obbligatori disciplinati appunto dall’art. 78 e non dall’art. 34.
Il consenso è considerato anche dalle norme di questo articolo, così come in campo giuridico, come fondamento di legittimazione dell'atto medico.
Riguardo ad ogni intervento sanitario, pertanto, la manifestazione di volontà del paziente non può essere surrogata nè disattesa, anche se per fini benefici.
Tale impostazione deriva da principi costituzionalmente sanciti di inviolabilità della libertà personale che nel riconoscimento del diritto alla salute si traduce in una pretesa, giuridicamente tutelata, di autodeterminazione del soggetto e di garanzia da ogni interferenza illegittima.
In particolare, così come evidenziato dal Comitato Nazionale di Bioetica nel documento "Informazione e consenso all'atto medico", dal disposto degli artt. 13 e 39 della Costituzione "discende che al centro dell'attività medico-chirurgica si colloca il principio del consenso, il quale esprime una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del paziente che sui doveri del medico. Sicchè sono da ritenere illegittimi i trattamenti sanitari extra-consensuali, non sussistendo un "dovere di curarsi" se non nei definiti limiti di cui l'art.32 cpv.2 Cost."
E' da precisare, tuttavia, che anche il principio del consenso incontra dei confini, in quanto l'intervento risulta, comunque, illecito quando supera i limiti della salvaguardia della vita, della salute, dell'integrità fisica, nonchè della dignità umana.
Va rammentato che affinché il consenso possa ritenersi valido è necessario che sia espresso personalmente dall'interessato, sia specifico per ogni trattamento e sia consapevole.
Per quanto attiene al primo requisito con riferimento a tale fattispecie specifica, si afferma che qualora non vi siano pericoli di gravi, potenziali danni, il medico può attendere che il paziente riacquisti la capacità di esprimere il proprio volere. Quando, invece, il trattamento risulti urgente per scongiurare rischi di nocumento, il medico è obbligato ad intervenire, indipendentemente da quanto al riguardo possano esprimere i prossimi congiunti, potendosi configurare, in caso di suo mancato intervento, responsabilità sia civili che penali.
Riguardo all'estensione dell'ambito per il quale può ritenersi validamente espresso il consenso, questa va valutata in relazione alla tipologia del trattamento sanitario che viene preso in considerazione nonchè in relazione alle modalità secondo cui il consenso è stato espresso.
In via generale laddove il trattamento risulti costituito da un complesso di interventi non appare necessario che il consenso venga rinnovato per ogni singolo intervento. Laddove però, come espressamente indicato nel 2 comma dell'articolo in esame, le singole prestazioni diagnostiche o terapeutiche risultino connotate da particolarità che possano avere conseguenze sulla integrità fisica, il consenso dovrà essere specifico e, a riprova di ciò, adeguatamente espresso in forma scritta.
Riguardo alla formalizzazione del consenso va rilevato che, attualmente, soprattutto al fine di prevenire contenziosi d'ordine legale, si registra la fioritura di una modulistica alquanto dettagliata nella elencazione dei vari interventi di cui si compone il trattamento, volta ad evitare contestazione sulla esaustività del consenso prestato. Va però rammentato che non sono la formulazione e la sottoscrizione del modulario le condizioni che effettivamente esentano il medico da eventuali responsabilità giuridiche e disciplinari quanto, piuttosto, la reale opera di informazione del paziente, secondo le indicazioni del precedente art. 30 e la concessione da parte dell’interessato del necessario consenso informato.
Viene così in rilievo l'ultimo requisito, che deve connotare il consenso e cioè la consapevolezza che non può risolversi evidentemente in un dato meramente formale e per il quale è necessaria l'effettiva attuazione delle indicazioni concernenti la corretta informazione del paziente.
Il difetto di consenso, quale presupposto imprescindibile delle prestazioni mediche, rappresenta, in ambito giurisprudenziale, un osservatorio privilegiato della evoluzione dell'ordinamento giuridico nel senso di una sempre maggiore e prevalente tutela del diritto della persona alle scelte, che riguardano valori fondamentali di stretta attinenza personale quali la integrità fisica, la salute e la qualità di vita.
Con particolare riferimento ai casi di danni alla persona derivanti da interventi medici privi del necessario, preventivo consenso, effettivamente informato, dei diretti interessati, va evidenziato come, in ambito penale si è registrata la nascita di un orientamento giurisprudenziale assai severo. Tale orientamento, proprio dalla adesione alla dottrina del consenso informato, traduce l'omissione di detto consenso in termini di elemento psicologico del reato di tipo doloso, modificando la riferibilità del danno da colposa (come era nella tradizione nettamente prevalente) in dolosa. Va rammentato poi che con la sentenza 26/6/91, ormai famosa, della Corte di assise d'appello di Firenze, la responsabilità della morte del paziente sottoposto ad intervento chirurgico per il quale era stato negato il consenso dall'interessato, è stata addebitata al chirurgo a titolo di omicidio preterintenzionale come ulteriore conseguenza del comportamento dello stesso che già configurava il reato di lesioni personali volontarie.
Con riguardo a tali addebiti risultano particolarmente illuminanti alcuni passi della sentenza della Cass. Sez. V penale n. 699 del 21.4.1992, confermativa della sentenza della Corte di assise di appello di Firenze, allorchè si puntualizza che "se il trattamento, eseguito a scopo non illecito, abbia esito sfavorevole, si deve, pur sempre, distinguere l'ipotesi in cui esso sia consentito dall'ipotesi in cui il consenso invece non sia prestato. E si deve ritenere che se il trattamento non consentito ha uno scopo terapeutico e l'esito sia favorevole, il reato di lesioni, comunque, sussiste, non potendosi ignorare il diritto di ognuno di privilegiare il proprio stato attuale (art.32, comma secondo, Cost.) e che, a fortiori, il reato sussiste ove l'esito sia sfavorevole."
Come efficacemente evidenziato da parte della dottrina medico-legale, si può ipotizzare una sorta di graduazione di reati nel caso in cui l'atto medico chirurgico venga compiuto senza il consenso del paziente laddove non ricorra un'improcrastinabile urgenza:
- violenza privata, se l'atto medico imposto al paziente non produce patologie permanenti;
- lesione personale volontaria, se l’atto medico determina una condizione lesiva dell’integrità psico-fisica della persona;
- omicidio preterintenzionale, se provoca la morte del paziente.
La rilevanza del consenso assume poi una particolare connotazione con riferimento alla responsabilità civile nelle "attività mediche non correlate a patologie intese in senso proprio", quali la chirurgia estetica e la odontoprotesistica.
Rispetto a tali attività, anche in relazione alla particolarità che le contraddistingue e che attiene all'importanza, nel loro svolgimento, del conseguimento di un determinato risultato, l'informazione dettagliata e chiara sui rischi di complicazioni e insuccessi al fine della formazione di un consenso effettivamente consapevole, assume incidenza anche sulla stessa legittimità contrattuale.
Nel penultimo comma dell'articolo in esame viene presa in considerazione la fattispecie particolare di trattamenti diagnostici o terapeutici "che possano comportare grave rischio per l'incolumità del paziente."
In tali ipotesi l'indicazione deontologica si compone di due elementi essenziali:
1) effettiva necessità di tali trattamenti per il caso specifico;
2) informazione dettagliata sulle possibili conseguenze per la formazione e manifestazione di un consenso che sia effettivamente valido, quindi esplicito e specifico, e che si ritiene opportuno sia documentato.
L'ultimo comma sancisce un divieto esplicito per il medico di compiere qualsiasi atto diagnostico e curativo "in presenza di un esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e volere".
Riguardo a tale specifica fattispecie va segnalata la problematica relativa all'ipotesi in cui il rifiuto sia stato espresso in epoca antecedente (direttive anticipate) mentre successivamente l'interessato non sia più capace di manifestare la propria volontà.
In tale ipotesi vengono a confrontarsi due opposte opinioni.
Per alcuni, infatti, resta valida la volontà espressa in precedenza poichè l'incapacità successivamente intervenuta non può far presumere revocato quanto antecedentemente manifestato, come del resto raccomanda la Convenzione Europea di Bioetica.
Per altri, invece, ricorrerebbe lo stato di necessità e, in questo caso, il medico avrebbe un vero e proprio obbligo di intervenire comunque. A tale riguardo va segnalato quanto espresso dal C.N.B. secondo il quale "sembra innanzitutto opportuno che si faccia sempre una debita distinzione fra la volontà manifestata in astratto dal malato e l'eventuale volontà manifestata, in concreto, su una determinata pratica diagnostica e terapeutica, non potendo evidentemente la prima aver forza giuridica tale da impedire il trattamento sanitario. Così pure occorre fare riferimento al problema dell'eventuale divario fra effettive intenzioni del malato e realtà della situazione in cui esso si trova, giacchè tale divario può legittimare interventi terapeutici non rientranti nella sfera intenzionale del soggetto.".
Opportunamente, infine, nell'ultimo comma dell'articolo in esame si distinguono nell'ambito dei casi di rifiuto esplicito dei pazienti a trattamenti diagnostici o terapeutici le ipotesi disciplinate al successivo art. 78, in cui, invece, detti trattamenti siano previsti per legge come obbligatori.