titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO VII - SESSUALITÀ E RIPRODUZIONE


Art. 41 Interruzione volontaria di gravidanza

L’interruzione della gravidanza, al di fuori dei casi previsti dalla legge, costituisce grave infrazione deontologica tanto più se compiuta a scopo di lucro.
Il medico obiettore di coscienza, ove non sussista imminente pericolo per la vita della donna, o, in caso di tale pericolo, ove possa essere sostituito da altro collega altrettanto efficacemente, può rifiutarsi d'intervenire nell'interruzione volontaria di gravidanza.

Commento:
Questo articolo facendo seguito all’impostazione generale sul tema del rifiuto d’opera professionale disciplinato dall’art. 19, già commentato, prevede disposizioni particolari in caso specifico dell’obiezione di coscienza derivate dalla richiesta di interruzione volontaria di gravidanza. In questo caso viene utilizzata correttamente la dizione obiezione di coscienza in quanto viene fatta propria la terminologia legislativa prevista dalla legge 194 del 1978 che ha prodotto nel nostro ordinamento la regolamentazione giuridica dell’interruzione volontaria della gravidanza.
I principi della legge sono ripresi e confermati anche a livello del codice di deontologia e pertanto l’osservanza della normativa in materia consente al medico di operare senza timore di intercorrere in violazioni etico-deontologiche.
L'interruzione volontaria di gravidanza non costituisce violazione dei principi deontologici solo ove effettuata in conformità della Legge vigente in materia (L.194 del 1978).
Tale intervento, come è noto, può essere però rifiutato attraverso il ricorso all'obiezione di coscienza nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge.
In ambito deontologico il rispetto del sistema tracciato dalla legge fa assumere la connotazione di non illiceità agli interventi di interruzione di gravidanza, mentre la finalizzazione a scopo di lucro di prestazioni di tale natura operati al di fuori della legge comporta un aggravamento ulteriore della violazione deontologica.
Si ha, infatti, in tale fattispecie, una sorta di concorso formale eterogeneo di violazioni deontologiche in quanto con una medesima azione vengono ad essere violati più precetti che, nel caso specifico, sono quelli di cui all'articolo in esame e agli artt. 3 e 4, concernenti l'indipendenza e la dignità della professione.
Come annotazione finale va evidenziato che nell'ultimo comma è previsto per il medico obiettore la facoltà di rifiutarsi di intervenire nell'interruzione di gravidanza "se non sussista pericolo per la vita della donna, o in caso di tale pericolo ove non possa essere sostituito altrettanto efficacemente". Con tale norma si pone una disciplina specifica per la fattispecie della IVG rispetto a quella generale sull'obiezione di coscienza di cui all'art. 19, ove la legittima operatività della obiezione di coscienza trova limite nella possibilità che l'atteggiamento del medico possa essere "di grave e immediato nocumento al paziente".
Nella fattispecie in esame il limite è spostato, invece, al pericolo imminente di morte. La ragione di tale diversità va ricercata nel difficile bilanciamento di interessi, quelli della madre e quelli del concepito, ritenuti dall'obiettore del tutto omogenei, interessi che nell'interruzione volontaria di gravidanza vengono, ad avviso del medico obiettore, a contrapporsi creando un drammatico conflitto di coscienza.