titolo 2° - DOVERI GENERALI DEL MEDICO

CAPO III - OBBLIGHI PECULIARI DEL MEDICO


Art. 9 Segreto professionale

-Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o che può conoscere in ragione della sua professione; deve, altresì, conservare il massimo riserbo sulle prestazioni professionali effettuate o programmate, nel rispetto dei principi che garantiscano la tutela della riservatezza.
La rivelazione assume particolare gravità quando ne derivi profitto, proprio o altrui, o nocumento della persona o di altri.
Costituiscono giusta causa di rivelazione, oltre alle inderogabili ottemperanze a specifiche norme legislative (referti, denunce, notifiche e certificazioni obbligatorie):

a) - la richiesta o l’autorizzazione da parte della persona assistita o del suo legale rappresentante, previa specifica informazione sulle conseguenze o sull’opportunità o meno della rivelazione stessa;

b) - l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute dell’interessato o di terzi, nel caso in cui l'interessato stesso non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità di intendere e di volere;

c)- l'urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi, anche nel caso di diniego dell'interessato, ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali.

La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto.
Il medico non deve rendere al Giudice testimonianza su ciò che gli è stato confidato o è pervenuto a sua conoscenza nell’esercizio della professione.
La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo.

Commento
L’art. 9 dedicato al segreto professionale è stato sostanzialmente modificato dal nuovo testo in considerazione anche della sopravvenuta approvazione della legge n. 675 del 1996, che istituisce l’Autorità del Garante per la tutela dei dati personali. Come è noto il segreto professionale è tradizionalmente uno dei doveri fondamentali del medico e una delle regole essenziali della deontologia.
La nuova legge, quindi, non costituisce altro che un rafforzamento dei compiti che già il medico era tenuto a osservare per quanto riguarda la tutela dei dati e delle notizie relative ai propri pazienti. A questo riguardo occorre notare come tra le cause che costituiscono "giusta causa" di rivelazione del segreto professionale è stato aggiunto un punto c) che prevede la possibilità di derogare alle norme sul segreto professionale, laddove esista l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi anche in caso di diniego dell’interessato, ma previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali.
Si è inteso con tale modificazione sancire che, per la deroga al segreto professionale, è necessario sia l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi sia l’autorizzazione del Garante. Questa autorizzazione può discendere sia dal provvedimento generale (autorizzazione n. 2 del 1997) sia da una richiesta specifica che il medico può inoltrare.
Un’altra modifica rispetto alla precedente stesura dell’art. 9 concerne l’ultimo comma che sancisce " La cancellazione dall'albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo" . Si è voluto specificare, con la massima chiarezza, un concetto che pure poteva ritenersi per certi versi implicito anche nella precedente stesura dell’articolo.
Il medico, quand’anche cessasse la propria attività e chiedesse la cancellazione dall’albo, non può ritenersi esentato dal rispetto del segreto professionale. E’ questa una considerazione abbastanza importante considerando che le rivelazioni concernenti la salute e i dati sensibili di alcuni pazienti potrebbero riguardare, inoltre, soggetti molto noti al pubblico e vi potrebbe essere un interesse economico per il medico, anche se non più professionalmente in attività, a utilizzare alcune conoscenze acquisite durante la propria vita professionale anche per scopi di lucro non certo commendevoli.
Il segreto professionale, che, come è noto, è anche previsto dal codice penale (artt. 326 e 622) è un obbligo imposto a determinati professionisti di non divulgare notizie di cui sono venuti a conoscenza a cagione della loro professione. E' chiaro che la norma penale si riferisce anche ad avvocati, magistrati, commercialisti ed altri ma è altrettanto chiaro che per il medico la problematica del segreto professionale è particolarmente importante considerando la delicatezza del rapporto che si instaura fra medico e paziente. Il segreto professionale viene definito dal punto di vista giuridico una relazione che intercorre fra la conoscenza di cose e fatti e un determinato soggetto.
Il paragone fra norma deontologica e norma penale, è indubbiamente necessaria, ma occorre mettere in risalto alcune sostanziali differenze. Ai sensi dell'art. 622 del codice penale, infatti, la rivelazione del segreto professionale è punibile solo se ne possa derivare nocumento.
Il codice deontologico, invece, nel confermare l'importanza strettamente etica del principio stesso, non fa questa distinzione e prevede, quindi, la sanzionabilità del comportamento del medico anche quando dalla rilevazione non derivi danno ad alcuno.
Nel secondo comma dell'art. 9 è, peraltro, prevista la particolare riprovazione della divulgazione del segreto professionale fatta a scopo di lucro oppure al fine di arrecare specifico nocumento: ciò non toglie che la violazione dell'obbligo sussista anche senza queste specifiche caratteristiche dolose.
Un'altra distinzione da fare è quella concernente l'esimente generale della giusta causa, prevista dall'art. 622 del c.p., e non dall'articolo 9 del codice deontologico. Questa differenza porta molti a ritenere che anche in questo caso la norma deontologica sia più rigorosa rispetto a quella penalistica che, attraverso l'esimente della giusta causa, permette al professionista di valutare i casi in cui possa ignorare l'obbligo del segreto professionale. In realtà la dottrina prevalente (Lega, Introna etc.) ritiene che le deroghe espresse sotto i punti a) e b) del terzo comma dell'articolo in commento costituiscano non un sistema chiuso e tassativo, ma un'elencazione esemplificativa passibile quindi di interpretazione estensiva quando sussistano situazioni analoghe e similari.
In realtà, a prescindere dalla valutazione che si voglia dare del problema, non può non sottolinearsi che anche in questo caso il codice deontologico sembra obbligare il medico con estremo rigore al rispetto del segreto professionale considerato uno dei cardini della professione sin dai tempi del giuramento di Ippocrate.
Esaminando le deroghe previste dal comma 2° dell'art. 9, del codice deontologico, occorre innanzi tutto chiarire che il medico, in qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, è tenuto (v. artt. 331, 334, cpp e artt. 365, 384 c.p.) alla denuncia del reato di cui sia a conoscenza per motivo della sua funzione o al referto (cioè l'indicazione della persona alla quale è stata prestata assistenza, e, se è possibile delle sue generalità del luogo dove si trovi attualmente e quant'altro valga a identificarla nonchè del luogo, del tempo e delle altre circostanze dell'intervento).
La denuncia e il referto devono essere portati a conoscenza dell'autorità giudiziaria e quindi costituiscono indubbiamente deroghe all'obbligo del segreto professionale. Il motivo è evidente e consiste nell'assoluta priorità dell'esigenza di giustizia sulle pur importanti motivazioni di riservatezza che costituiscono l'essenza dell'obbligo del segreto professionale.
In alcuni casi, come specifica l'articolo, il medico è anche tenuto ad alcune certificazioni obbligatorie o facoltative che possono costituire anch'esse deroghe all'obbligo del segreto.
Il secondo tipo di deroghe, quelle cioè previste dalla lett. b) del terzo comma dell'articolo in commento, si basa sul c.d. consenso dell'avente diritto; cioè quando lo stesso interessato (il malato o i legali rappresentanti del minore o dell'incapace) autorizzi o addirittura richieda la divulgazione di notizie coperte dal segreto professionale.
In questo caso si applica un principio generale della scienza penalistica, previsto all'art. 5 del c.p. che testualmente prevede che "non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne". In buona sostanza non c'è miglior giudice di chi eventualmente subirebbe il danno dalla rivelazione delle notizie da tenere segrete sulla opportunità o meno della rivelazione stessa. Occorre al riguardo, peraltro, precisare che a volte l'obbligo del segreto professionale è posto a tutela di un interesse della collettività di cui neanche il paziente può essere arbitro. Il medico, in questi casi, ancorché facoltizzato dal proprio paziente alla rilevazione del segreto rimane titolare della decisione finale di divulgare o meno la notizia secondo il proprio prudente apprezzamento.
Il sistema delle deroghe, comunque, attribuisce al medico la valutazione sull'opportunità di svelare il segreto quando sia in grave pericolo la salute o la vita di terzi. A nostro avviso tale previsione, di carattere molto ampio, è pur sempre applicabile in modo più restrittivo rispetto alla "giusta causa" prevista come deroga dall'art. 622 del c.p..
La deroga di cui trattasi attribuisce al medico la responsabilità di superare l’obbligo del rispetto del segreto quando, a suo giudizio, esistano situazioni estremamente gravi che mettono a repentaglio la salute e la vita dei terzi, ferma restando la preventiva autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, in relazione anche a quanto già specificato.
L'obbligo della non divulgazione del segreto professionale rimane a carico del medico anche dopo la morte del paziente a tutela del diritto alla riservatezza di cui gli eredi sono i depositari secondo le normali regole successorie quali ideali continuatori della personalità dello scomparso.
L'ultimo comma dell'articolo in commento affronta una delle problematiche più scottanti del rapporto fra deontologia medica e ordinamento giudiziario. Tale comma prevede, infatti, il divieto per il medico di testimoniare al Giudice su fatti di cui egli sia venuto a conoscenza per ragioni dipendenti dall'esercizio della professione. E' necessario subito ricordare che l'art. 200 cpp riconosce che i medici e gli altri esercenti le professioni sanitarie non hanno l'obbligo di deporre su quanto hanno conosciuto in ragione della loro professione. Si potrebbe quindi sostenere che non esiste un contrasto esplicito fra norma deontologica e norma penale.
Bisogna però sottolineare che, innanzi tutto, il segreto professionale trova già una limitazione nell'obbligo di referto (art. 365 c.p.) che sussiste sempre tranne nei casi in cui il referto stesso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. La giurisprudenza, inoltre, è più volte intervenuta in materia riconoscendo, pur tra qualche contrasto, la possibilità per il giudice di chiedere al medico di testimoniare quando lo stesso giudice ritenga che i fatti di cui il professionista è a conoscenza non siano legati allo svolgimento dell'attività professionale in ragione del suo stato.