Il medico deve garantire al cittadino la continuità delle
cure.
In caso di indisponibilità, di impedimento o del venir meno del
rapporto di fiducia deve assicurare la propria sostituzione, informandone il
cittadino e, se richiesto, affidandolo a colleghi di adeguata competenza.
Il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve
continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e
psichica.
Commento
Il nuovo testo dell’art. 20 del
codice di deontologica medica ricalca sostanzialmente la stesura precedente. E’
da notare che è stato inserito, tra i casi in cui è necessario comunque
garantire al cittadino la continuità delle cure, anche quello relativo al venire
meno del rapporto di fiducia tra medico e cittadino stesso.
Anche in questo
caso rimane fermo l’obbligo del medico di garantire la necessaria continuità
delle cure onde evitare nocumento al malato.
Nell’articolo è pure previsto
che la continuità delle cure può essere assicurata ovviamente anche attraverso
l’affidamento del cittadino a un collega che garantisca adeguata competenza
professionale.
In tale articolo si opera una puntualizzazione, secondo una
visuale specifica concernente l'erogazione delle cure, di quanto nel precedente
art. 18 viene indicato come obbligo di impegno che il medico deve garantire al
paziente. Nel primo comma viene infatti stabilito il dovere del medico di
assicurare la continuità delle cure. Tale dovere, in caso di indisponibilità o
impedimento, implica la sostituzione con colleghi di adeguata competenza
professionale, previa informazione al paziente che può accettare o rifiutare
l'assistenza del sostituto, in base al principio del rapporto fiduciario.
Al
medico viene riconosciuto il diritto, nel caso sia necessaria la collaborazione
con colleghi o con altre figure professionali, di instaurare tali rapporti
collaborativi solo con operatori di propria fiducia. Ciò è pienamente
giustificato dal fatto che, ferma restando la responsabilità di ognuno per
l'opera prestata, persistono comunque per la connessione dei diversi interventi
che si operano sullo stesso soggetto, ambiti di responsabilità comune, che
richiedono che la collaborazione per essere veramente tale si fondi su di un
preliminare e imprescindibile rapporto di fiducia tra tutti gli
operatori.
L'ultimo comma dell'articolo sancisce il dovere del medico di
continuare l'assistenza anche nel caso di malattia incurabile anche solo al fine
di lenire la sofferenza fisica e psichica.
Tale previsione è un'ulteriore
indicazione della scelta su cui si fonda il codice, a favore di un rapporto
medico-paziente che non deve essere considerato solo in una prospettiva di
efficienza tecnicistica, ma, anche, di umana solidarietà.
Tale impostazione
riveste una particolare rilevanza soprattutto con riferimento a gravi patologie
quali le neoplasie o l'AIDS. Proprio con riferimento a tale seconda patologia
vanno tenuti presenti gli episodi e i casi, fortunatamente eccezionali, di
rifiuto di prestazione fondato sulla paura di un possibile contagio, rifiuto
deontologicamente inaccettabile.
Al riguardo va rammentato che oltre alla
norme deontologiche l'art. 5, legge 135/90, stabilisce che "gli operatori
sanitari, che, nell'esercizio della loro professione, vengano a conoscenza di un
caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da
stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottando tutte
le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona
assistita".
Va, comunque, evidenziato che si ritiene giustificato il rifiuto
di assistenza al soggetto infetto da HIV da parte dell'operatore in stato di
gravidanza, allorchè non esistano adeguati mezzi di tutela o di prevenzione o
non siano sufficienti quelli adottati dalla madre al fine di escludere il
rischio di contagio per il concepito della cui salute la madre non può
disporre.
Sulla problematica accennata risulta di particolare interesse la
raccomandazione n. R (89) 14 del Consiglio d'Europa, concernente i problemi
etici relativi alla infezione da HIV nelle strutture sanitarie e sociali (punto
c n.ri 69, 70, 71, 72), secondo la quale: "tutti gli operatori hanno l'obbligo
di prestare assistenza alle persone infette da HIV e ai pazienti malati di AIDS;
solo quando la protezione del singolo operatore sia chiaramente insufficiente
(per mancanza di equipaggiamento protettivo, di formazione, ecc.) l'operatore
sanitario può rifiutarsi di eseguire prestazioni che comportino rischi. Perciò
l'operatore sanitario non può rifiutarsi per motivi etici e/o contrattuali di
curare un paziente la cui condizione patologica rientri nel suo normale dominio
di competenza per il solo motivo della sieropositività del paziente stesso. Ogni
operatore sanitario che non sia in grado di provvedere all'assistenza e alle
prestazioni professionali richieste da una persona con AIDS, dovrebbe affidare
il paziente a quei medici o servizi che sono attrezzati per provvedere a tali
prestazioni; fino a quando ciò non sia possibile il medico deve prendersi cura
del paziente al meglio delle sue capacità. Il principio della libera scelta
spettante ai medici, nel curare o meno i pazienti, deve essere applicato in modo
tale da non configurare forme di discriminazione nei confronti dei pazienti o
gruppi di pazienti; dovrebbe essere, altresì, coerente con le regole che
presiedono alla relazione medico-paziente".