titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO I - REGOLE GENERALI DI COMPORTAMENTO


Art. 20 Continuità delle cure

Il medico deve garantire al cittadino la continuità delle cure.
In caso di indisponibilità, di impedimento o del venir meno del rapporto di fiducia deve assicurare la propria sostituzione, informandone il cittadino e, se richiesto, affidandolo a colleghi di adeguata competenza.
Il medico non può abbandonare il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad assisterlo anche al solo fine di lenirne la sofferenza fisica e psichica.

Commento
Il nuovo testo dell’art. 20 del codice di deontologica medica ricalca sostanzialmente la stesura precedente. E’ da notare che è stato inserito, tra i casi in cui è necessario comunque garantire al cittadino la continuità delle cure, anche quello relativo al venire meno del rapporto di fiducia tra medico e cittadino stesso.
Anche in questo caso rimane fermo l’obbligo del medico di garantire la necessaria continuità delle cure onde evitare nocumento al malato.
Nell’articolo è pure previsto che la continuità delle cure può essere assicurata ovviamente anche attraverso l’affidamento del cittadino a un collega che garantisca adeguata competenza professionale.
In tale articolo si opera una puntualizzazione, secondo una visuale specifica concernente l'erogazione delle cure, di quanto nel precedente art. 18 viene indicato come obbligo di impegno che il medico deve garantire al paziente. Nel primo comma viene infatti stabilito il dovere del medico di assicurare la continuità delle cure. Tale dovere, in caso di indisponibilità o impedimento, implica la sostituzione con colleghi di adeguata competenza professionale, previa informazione al paziente che può accettare o rifiutare l'assistenza del sostituto, in base al principio del rapporto fiduciario.
Al medico viene riconosciuto il diritto, nel caso sia necessaria la collaborazione con colleghi o con altre figure professionali, di instaurare tali rapporti collaborativi solo con operatori di propria fiducia. Ciò è pienamente giustificato dal fatto che, ferma restando la responsabilità di ognuno per l'opera prestata, persistono comunque per la connessione dei diversi interventi che si operano sullo stesso soggetto, ambiti di responsabilità comune, che richiedono che la collaborazione per essere veramente tale si fondi su di un preliminare e imprescindibile rapporto di fiducia tra tutti gli operatori.
L'ultimo comma dell'articolo sancisce il dovere del medico di continuare l'assistenza anche nel caso di malattia incurabile anche solo al fine di lenire la sofferenza fisica e psichica.
Tale previsione è un'ulteriore indicazione della scelta su cui si fonda il codice, a favore di un rapporto medico-paziente che non deve essere considerato solo in una prospettiva di efficienza tecnicistica, ma, anche, di umana solidarietà.
Tale impostazione riveste una particolare rilevanza soprattutto con riferimento a gravi patologie quali le neoplasie o l'AIDS. Proprio con riferimento a tale seconda patologia vanno tenuti presenti gli episodi e i casi, fortunatamente eccezionali, di rifiuto di prestazione fondato sulla paura di un possibile contagio, rifiuto deontologicamente inaccettabile.
Al riguardo va rammentato che oltre alla norme deontologiche l'art. 5, legge 135/90, stabilisce che "gli operatori sanitari, che, nell'esercizio della loro professione, vengano a conoscenza di un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottando tutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona assistita".
Va, comunque, evidenziato che si ritiene giustificato il rifiuto di assistenza al soggetto infetto da HIV da parte dell'operatore in stato di gravidanza, allorchè non esistano adeguati mezzi di tutela o di prevenzione o non siano sufficienti quelli adottati dalla madre al fine di escludere il rischio di contagio per il concepito della cui salute la madre non può disporre.
Sulla problematica accennata risulta di particolare interesse la raccomandazione n. R (89) 14 del Consiglio d'Europa, concernente i problemi etici relativi alla infezione da HIV nelle strutture sanitarie e sociali (punto c n.ri 69, 70, 71, 72), secondo la quale: "tutti gli operatori hanno l'obbligo di prestare assistenza alle persone infette da HIV e ai pazienti malati di AIDS; solo quando la protezione del singolo operatore sia chiaramente insufficiente (per mancanza di equipaggiamento protettivo, di formazione, ecc.) l'operatore sanitario può rifiutarsi di eseguire prestazioni che comportino rischi. Perciò l'operatore sanitario non può rifiutarsi per motivi etici e/o contrattuali di curare un paziente la cui condizione patologica rientri nel suo normale dominio di competenza per il solo motivo della sieropositività del paziente stesso. Ogni operatore sanitario che non sia in grado di provvedere all'assistenza e alle prestazioni professionali richieste da una persona con AIDS, dovrebbe affidare il paziente a quei medici o servizi che sono attrezzati per provvedere a tali prestazioni; fino a quando ciò non sia possibile il medico deve prendersi cura del paziente al meglio delle sue capacità. Il principio della libera scelta spettante ai medici, nel curare o meno i pazienti, deve essere applicato in modo tale da non configurare forme di discriminazione nei confronti dei pazienti o gruppi di pazienti; dovrebbe essere, altresì, coerente con le regole che presiedono alla relazione medico-paziente".