titolo 3° - RAPPORTI CON IL CITTADINO

CAPO V - ASSISTENZA AI MALATI INGUARIBILI


Art. 37 Assistenza al malato inguaribile

In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita.
In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finchè ritenuta ragionevolmente utile.

Commento:

Questo articolo in connessione con l’art. 14 "accanimento diagnostico-terapeutico" affronta il delicato tema dell’assistenza al malato inguaribile. Si tratta di una serie di indicazioni fornite al medico riguardanti l’atteggiamento che lo stesso deve osservare nel momento in cui si trova di fronte a malattie in fase terminale.
La correzione del titolo che nel vecchio codice era "accertamento della morte" è giustificata dalla scelta di inserire l’ultimo comma che recita: "Il sostegno vitale dovrà essere mantenuto sino a quando non sia accertata la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo" nell’articolo successivo, laddove si tratta di prelievo di parti di cadavere.
Questo articolo riguarda l’esercizio professionale proprio del medico ovvero non limitato all’applicazione delle sole competenze tecniche, bensì allargato all’elemento umano, etico-deontologico. Si fa riferimento ad una assistenza di tipo morale, a una scelta terapeutica che attende alla guarigione del paziente in considerazione della situazione terminale dello stesso, ma che comunque è atta a rendere l’ultima parte della vita degna di essere vissuta.
Le norme di questo articolo individuano i comportamenti pratici in cui devono tradursi i principi informatori dell'attività medica di fronte ai malati terminali e alla morte.
Nel primo comma, sulla scia di quanto già espresso agli artt. 14 e 20, al medico che si trovi a prestare la propria opera nei confronti di un malato incurabile, in fase terminale, viene, preliminarmente, indicato come presupposto fondamentale ed imprescindibile la conoscenza della volontà del paziente sugli interventi terapeutici praticabili.
Fermo il divieto di accanimento terapeutico, individuato all'art.14, il medico nel rispetto di detta volontà dovrà, pertanto, adoperarsi nella effettuazione di quell'insieme di trattamenti denominati cure palliative.
L'importanza di tali trattamenti viene rilevata nello specifico documento del C.N.B. ove, appunto, si afferma che "le cure palliative costituiscono una risposta adeguata al bisogno di assistenza dei malati inguaribili. (omissis)"
"Il malato inguaribile proprio per la sua condizione di sofferenza ha bisogno di continue cure finalizzate non a prolungare ad ogni costo e con ogni mezzo la vita, bensì a migliorarne la qualità: attenzioni rivolte all'assistenza psicologica al paziente ed alla famiglia, al sostegno spirituale, al trattamento dei sintomi, alla terapia del dolore".
Particolarmente efficace risulta, poi, la distinzione operata nel medesimo documento, che è la stessa fatta propria dal codice deontologico, tra cure palliative e accanimento terapeutico, che viene definito quale "segno di una medicina che ha perso il vero obiettivo della cura: una medicina che non si rivolge più alla persona malata, ma alla malattia e che avverte la morte come una sconfitta e non come evento naturale ed inevitabile. Le cure palliative, al contrario, danno sostegno e significato all'accompagnamento del morente e sono espressione di una medicina che si ricolloca al servizio della persona malata."
Le cure palliative sono, inoltre, considerate il più efficace antidoto alla richiesta di eutanasia che spesso è una fuga da una situazione esistenziale umanamente intollerabile che può essere ovviata solo da una diversa qualità dell'assistenza al morente, non burocratica ed impersonale, ma in cui siano effettivamente create le condizioni per morire con dignità.
Nel secondo comma viene affrontato il problema del sostegno vitale ai malati con compromissione dello stato di coscienza, lasciando sostanzialmente al medico la scelta di protrarre le terapie di sostegno vitale.
E' evidente che nella categoria di tali malati vanno ricomprese diverse tipologie di alterazioni di stati di coscienza più o meno gravi e dei quali può non essere possibile la formulazione di prognosi certa. In questi casi il medico è posto davanti a pesanti interrogativi sulle scelte da operare in merito alle terapie di sopravvivenza di pazienti interessati da tali situazioni.
Il codice non opera, ovviamente, al riguardo alcuna classificazione circa l’alterazione degli stati di coscienza dettando un principio di ordine generale che fissa nella utilità, da intendersi ai fini di una possibile ripresa, il criterio cui il medico, in particolare il rianimatore, deve attenersi nella scelta del proseguimento dell’assistenza.
Appare questa una scelta di grande equilibrio, soprattutto con riferimento a situazioni enormemente complesse, nei riguardi delle quali è in corso un ampio dibattito in campo sia scientifico che etico. Per queste ragioni si è ritenuto opportuno lasciare al giudizio del medico, secondo le conoscenze offertegli dalla scienza e le considerazioni d'ordine morale che derivano anche da dette conoscenze, l’utilità del mantenimento delle terapie di sostegno vitale.